Perdizione, perdio!

Tra social, Netflix & co., App e giochini su smartphone, Playstation e Xbox, reality, Grandi fratelli, X-factor, pacchi di Amadeus, podcast, calcio tifato, il concetto di “perdizione” non ha più un valore morale e una connotazione spirituale, bensì terrena e tangibile. La perdizione oggi è materialista, praticamente è roba marxista.

Foibe. E’ rimasta una sola verità: quella politica

…e dobbiamo farne buon uso

16th Century woodcut print. Artwork entitled 'Whale eating men' from 'Cosmographia Universalis', Sebastian Munster (Basel, 1550).

Scrivo questo a debita distanza dal Giorno del ricordo, per evitare di cavalcare un’onda che a ridosso del 10 febbraio non si fa cavalcare dalla ragione, bensì solo dall’emotività. Emotività ufficiale, nazionale che con difficoltà cerca di essere trasformata in popolare, e che trova risposte polarizzanti: di vittimismo o di negazionismo.

Qual è la verità storica delle foibe, non importa. Con il detto “la storia la scrivono i vincitori”, chi si occupa di storia e cerca di dare risposte supportate dal metodo scientifico, non viene creduto. Non più, perché ha vinto la verità politica. E’ l’unica rimasta. Che è esattamente la realizzazione del “la storia la scrivono i vincitori”: basta ridefinire chi ha vinto cosa.

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Ferragni. Non può esserci un dio vivo

Chiara Ferragni è in disgrazia perché ha fatto il più classico degli errori che fanno i guru, di cui gli ‘influencer’ sono solo una manifestazione: voler essere una divinità.

Ha investito tantissimo a fondare la propria religione, il ‘brand Chiara Ferragni’, con il suo simbolo, ‘l’occhio di Chiara Ferragni’; ha raccolto attorno a sé milioni di seguaci e adepti, i ‘follower’; partendo dal nulla, ha intrecciato la propria predestinazione, la ‘ricchezza’ e la ‘fortuna’; ha annunciato al mondo la propria misericordia e i propri miracoli, la ‘beneficienza’ fatta (o presunta).

Ma rimane un problema non da poco: è ancora terrena, è ancora viva (e le auguro di restarlo a lungo). Ecco, non può proprio esserci un dio vivo.

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Ah.

Il 4 febbraio 2024, alle 23:18, ho percepito che ho già fatto il giro di boa e ora sto invecchiando. Che, come se avessi attraversato un orizzonte degli eventi, non posso più manovrare, ma posso andare più o meno velocemente in una sola direzione. Che quello che ho fatto, è fatto, e da qui tutto il resto sarà in salita.

Quanta politica (nascosta) nell’Eurovision Song Contest!

Ha fatto scalpore, al festival di Sanremo 2023, il fatto che il presidente ucraino volesse intervenire con un videomessaggio. Panico nella Rai. Oddìo, un irruzione della politica in una gara canora! Come facciamo, lo permettiamo, lo censuriamo? Dopo notti insonni, si è fatto creativamente all’italiana (bisogna ammettere che davanti all’imprevisto sappiamo sempre inventarci una soluzione originale): oltre alle fascia protetta, quella in cui ci sono i minori che non devono sentire parolacce e vedere nudità, si è invitata un’altra fascia protetta in cui i poveri cittadini minorati non devono sentire parlare di politica; ecco dopo questa fascia, abbondantemente oltre mezzanotte, quando oramai l’intero festival era stanco di se stesso, il conduttore ha letto la lettera (quindi non c’era manco il video) del presidente dell’Ucraina ai telespettatori irriducibili, concludendo con un “Ecco, io l’ho letta. Ora vedete voi”.

L’Eurovision Song Contest ha semplicemente detto ‘no’. Niente presidenti ucraini, non serve: tutto lo l’evento (magnifico) di Liverpool era costruito sulla solidarietà all’Ucraina. Punto.

Ma non per questo la politica era esclusa. No, ce n’era tantissima, come nella migliore tradizione dell’Eurovisione. Del resto, la gara canora internazionale tra Paesi che fanno parte dello stesso circuito televisivo, ma di blocchi ideologici o strategici diversi, e che poi si devono anche votare a vicenda, è una straordinaria occasione di diplomazia culturale in cui l’ideologia ha il suo buon posto. Quello che stupisce è che i conduttori e telecronisti (italiani soprattutto) facciano di tutto per nascondere questo aspetto al pubblico. In nome della Canzone e della Musica (con le maiuscole) si mutilano i significati, si nascondono i sottotesti e i ‘tra le righe’, si fa finta che gli artisti parlino di tutt’altro: in definitiva si travia il pubblico, ritenuto incapace di reggere il significato politico di un Paese che non sia il suo.

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La Memoria. E l’attualità

Oggi durante le varie cerimonie ho sentito più volte la domanda “ma perché le persone hanno tollerato la persecuzione e l’olocausto degli ebrei, rom, omosessuali; sapevano, perché e non hanno fatto nulla?”.

Domande lanciate al vento, perché la risposta venga soffiata via, perché in fondo è sgradita. Ma siccome oggi a Trieste la bora picchiava impietosa, la risposta ci veniva sbattuta in faccia: perché si stava allora -in Italia, Germania, Europa- come in Russia oggi.

Perché le persone in Russia non si ribellano alla guerra contro un popolo che considerano ‘fratello’ e che non li ha aggrediti? Sanno dei massacri e delle distruzioni, sanno degli assassini di giornalisti, sanno delle ruberie degli oligarchi, sanno delle prepotenze dei siloviki, degli abusi e delle violenze del Cremlino, sanno che Putin è un criminale, perché non si ribellano? Perché non alzano la voce? Perché tacciono? Domande retoriche: sappiamo bene come funzionano le cose in Russia oggi.

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E poi dicevano che era inutile studiare Scienze della comunicazione, tsè!

Funziona così.

Metti che siamo politici in TV. Io sparo fuori una cosa totalmente falsa. Tu subito mi contraddici sostenendo, giustamente, che è falso. Ma io insisto, ribadisco, e rilancio con un’altra fake difficilmente controllabile sul momento. Tu dici che bisogna verificare (e sei già sulla difensiva), ma io ti incalzo, ribadisco ancora le mie fake condite con qualche battuta ad effetto. Gioco sporco, perché tu sei una persona per bene. Metto in dubbio la tua competenza, ti chiedo di smentire cose che non c’entrano, ma che non si possono smentire. Ti faccio domande allusive, e manco mi frega di quello che rispondi. Ridicolizzo la tua prudenza scientifica (“il professorone!”).

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Elezioni 2022: Egocentro vs Bipopulismo

La mia esperienza con +Europa finisce qui. Perché?

Ero uno dei pochi che dall’inizio di +Europa insistevano perché come prima cosa si strutturasse un partito sui territori, che poi fosse capace di attrarre altre forze in quello che era la sua missione: un polo liberaldemocratico e socialiberale, europeista, progressista, atlantista e laico. I primi due anni del partito sono invece trascorsi tra lotte interne e ricerca di partner cui si offriva un progetto sulla carta, ma niente di concreto. Si è perso tempo a correre dietro a Calenda (di cui non ho stima come leader… in quanto autocrate), fino a quando non è stato lui a prende a bordo +Europa (per le elezioni a Roma).

Con Calenda +Europa si è trovata subito subalterna: lui aveva strutturato un partito sul territorio, noi no. Ma lo abbiamo costretto a fare il democratico, a fare un congresso in cui lui ha ovviamente vinto (candidato unico) e poi ci siamo federati. Sempre subalterni e in balia delle sue sparate su Twitter e improvvise virate a ca**o (“sterzata Calenda: non sai cosa eviti, ma sai che se non sbatti ti ribalti”), ma almeno eravamo un proto-polo liberale che ambiva a sfidare il bipolarismo destra-sinistra che ha mortificato l’Italia per decenni, sostenendo Draghi e la sua “agenda” (che non c’è, l’abbiamo dedotta noi).

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